Library:Prison Notebooks In Original Italian/Notebook 28
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Notebook 28 written in 1935
QUADERNO 28
LORIANISMO
Di alcuni aspetti deteriori e bizzarri della mentalità di un gruppo di intellettuali italiani e quindi della cultura nazionale (disorganicità, assenza di spirito critico sistematico, trascuratezza nello svolgimento dell’attività scientifica, assenza di centralizzazione culturale, mollezza e indulgenza etica nel campo dell’attività scientifico‑culturale ecc., non adeguatamente combattute e rigidamente colpite: quindi irresponsabilità verso la formazione della cultura nazionale) che possono essere descritti sotto il titolo comprensivo di «lorianismo».
Q28 §1 Registro dei principali «documenti», in cui si trovano le
principali «bizzarrie» di Achille Loria. (Ricordati a memoria: esiste
ora la Bibliografia di Achille Loria, compilata da Luigi Einaudi,
supplemento al n. 5, settembre‑ottobre 1932, della Riforma Sociale; la
lista non è completa, evidentemente, e forse mancano «bizzarrie» ben più
significative di quelle ricordate. La fatica dell’Einaudi è anch’essa
significativa, poiché avvalora la «dignità» scientifica del Loria, e
mette necessariamente, dinanzi al lettore ‑ giovane contemporaneo, tutti
gli scritti del Loria su uno stesso «piano», colpendo la fantasia con la
massa del «lavoro» fatto dal Loria: 884 numeri in questi tempi di
civiltà quantitativa. L’Einaudi merita per questa sua «fatica» di essere
iscritto ad honorem nella lista dei Loriani; d’altronde è da notare che
l’Einaudi, come organizzatore di movimenti culturali, è responsabile
delle «bizzarrie» del Loria e su questo punto particolare sarebbe da
scrivere una nota).
1) Le influenze sociali dell’aviazione (Verità e fantasia) in «Rassegna Contemporanea» (diretta dal Colonna di Cesarò e da V. Picardi), Roma, III fasc., 1° gennaio 1910, pp. 20‑28, ripubblicato nel II vol. di Verso la giustizia sociale (Idee, battaglie ed apostoli) che ha come titolo proprio Nell’alba di un secolo (1904‑1915), Milano, Società Editrice Libraria, 1915, in 8º, pp. 522. (Non mi pare che nella pubblicazione nella «Rassegna Contemporanea» esistesse il sottotitolo Verità e fantasia: occorrerebbe vedere se la ristampa in volume presenta dei cambiamenti nel testo). Questo articolo è tutto un capolavoro di «bizzarrie»: vi si trova la teoria dell’emancipazione operaia dalla coercizione del salario di fabbrica non più ottenuta per mezzo della «terra libera» ma per mezzo degli aeroplani che opportunamente unti di vischio, permetteranno l’evasione dalla presente società con il nutrimento assicurato dagli uccelli impaniati; una teoria della caduta del credito fiduciario, dello sfrenarsi delle birbonate sessuali (adulteri impuniti, seduzioni ecc.); sull’ammazzamento sistematico dei portinai per le cadute di cannocchiali; un compendio della teoria, altrove svolta, sul grado di moralità secondo l’altezza dal livello del mare, con la proposta pratica di rigenerare i delinquenti portandoli nelle alte sfere dell’aria su immensi aeroplani, correzione di una precedente proposta di edificare le carceri in alta montagna ecc. ecc. (Questo articolo, data l’amenità del contenuto, si presta a diventare «libro di testo negativo» per una scuola di logica formale e di buon senso scientifico).
2) Una conferenza tenuta a Torino durante la guerra e pubblicata subito dopo nella Nuova Antologia (nella Bibliografia di Einaudi, al n. 222 è citata una conferenza – La pietà della scienza – conferenza tenuta il 13 dicembre 1915 a beneficio degli ospedali territoriali di Torino della Croce rossa e pubblicata in «Conferenze e Prolusioni», IX, n. 1, e che potrebbe essere quella in quistione). Il Loria parlò del «dolore universale», in modo molto «bizzarro», come appare da ciò, che unico documento concreto da lui esibito per dimostrare una legge universale del dolore fu la lista di ciò che costa la «claque» agli attori di teatro, secondo una statistica fissata dal Reina (quindi mostruoso dolore degli attori). È vero che, secondo il suo metodo solito, il Loria fece intravedere la parte positiva del problema, affermando seriamente che la natura provvidenziale crea una difesa e un antidoto contro l’avvelenamento universale del dolore come si vede dal fatto che i poverelli costretti a pernottare all’aria aperta e sul nudo sasso hanno la pelle più spessa degli uomini che dormono sulle soffici piume.
3) Articolo Perché i veneti non addoppiano ed i valtellinesi triplano; l’Einaudi lo cita al n. 697 e dopo il titolo aggiunge «in Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis», annotando: «È l’estratto in un foglietto di 1 col., ma nella Miscellanea c. s. edita in Trieste, maggio 1909, 2 voll., pag. 1050, con ritr. non si rileva questo articolo». L’articolo era stato inviato dal Loria al Comitato triestino per le onoranze ad Attilio Hortis nel cinquantenario della sua attività letteraria; il Comitato non poteva inserire l’articolo nella Miscellanea per la sua ridicola insulsaggine, ma non volle neppure mancare di riguardi al Loria che a Trieste era un esponente «illustre» della scienza italiana. Così fu comunicato al Loria che il suo «contributo» non poteva essere pubblicato nella Miscellanea già stampata in tipografia e che l’avrebbe pubblicato il (settimanale) letterario «Il Palvese». L’estratto catalogato dall’Einaudi è del «Palvese», dove occorrerebbe rintracciarlo per curiosità. L’articolo espone un aspetto (quello linguistico) della dottrina loriana sull’influenza dell’«altimetria» sullo sviluppo della civiltà (ciò che dimostra, tra l’altro, che in Loria non manca lo spirito di sistema e una certa coerenza e quindi che le sue «bizzarrie» non sono casuali e dovute ad impulsi di dilettantismo improvvisatore, ma corrispondono a un sustrato «culturale» che affiora continuamente): i montanari moralmente più puri, fisicamente più robusti «triplicano» le consonanti; la gente di pianura, invece (e guai se si tratta di popolazioni che stanno al livello del mare, come i veneziani), oltre che moralmente depravata, è anche fisicamente degenerata e non riesce neppure ad «addoppiare». Il Loria ricorre alla «testimonianza della propria coscienza» e afferma che da malato egli non riesce a domandare alla cameriera che una scempia «taza» di brodo.
4) La prefazione alla 1a edizione di una delle prime opere «scientifiche» del Loria, in cui il Loria parla della sua prolusione all’Università di Siena, e della impressione suscitata nel pubblico accademico dall’esposizione delle sue «originali» dottrine materialistiche: vi si trova accennata la sua teoria della connessione tra «misticismo» e «sifilide» (per «misticismo» il Loria intende tutti gli atteggiamenti che non siano «positivistici» o materialistici in senso volgare). Su tale argomento, nella Bibliografia è citato un articolo: Sensualità e misticismo in «Rivista Popolare», XV, 15 novembre 1909, 577‑578.
5) Documenti ulteriori a suffragio dell’economismo storico nella Riforma Sociale del settembre‑ottobre 1929. Questi cinque «documenti» sono i più vistosi che si ricordino in questo momento: ma è da ricordare che nel caso del Loria non si tratta di qualche caso di «dormicchiamento» intellettuale, sia pure con ricadute negli stessi delirii: si tratta di un filone «profondo», di una continuità abbastanza sistematica che accompagna tutta la sua carriera letteraria. Né si può negare che il Loria sia uomo di ingegno e che abbia del giudizio. In tutta una serie di articoli le «bizzarrie e stranezze» appaiono qua e là, estemporaneamente, ma ci sono quelle di un certo tipo, legate cioè a determinati «nessi di pensiero». Per esempio, si vede la teoria «altimetrica» apparire nella quistione «penitenziaria» e in quella «linguistica». Così in un articoletto pubblicato nella «Prora» che usciva a Torino durante la guerra (diretto da un certo Cipri‑Romanò, giornalettucolo un po’ losco, certamente di bassissima speculazione ai margini della guerra e dell’antidisfattismo) si dividevano i protagonisti della guerra mondiale in mistici (Guglielmo e Francesco Giuseppe o Carlo) e positivisti (Clémenceau e Lloyd George) e si parlava della fine dello zarismo come di un destino antimistico (nello stesso numero della «Prora» apparve Il vipistrello disfattista di Esuperanzo Ballerini).
Ricca di elementi comici è la poesia Al mio bastone. Nel XXXV anno di possesso in Nuova Antologia del 16 novembre 1909.
La «leziosità letteraria» notata dal Croce è un elemento secondario dello squilibrio loriano, ma ha una certa importanza: 1) perché si manifesta continuamente; 2) perché l’immagine e l’enfasi letteraria trascinano meccanicamente il Loria al grottesco come nei secentisti e sono origine immediata di alcune «bizzarrie». Altro elemento del genere è la pretesa infantile e scriteriata all’«originalità» intellettuale ad ogni costo. Non manca nel Loria, oltre al «grande opportunismo», anche una notevole dose di «piccolo opportunismo» della più bassa estrazione: si ricordano in proposito due articoli, quasi simili e pubblicati a breve distanza di tempo nella «Gazzetta del Popolo» (ultrareazionaria) e nel «Tempo» di Pippo Naldi (nittiano allora) nei quali un’immagine del Macaulay era svolta nell’uno in un senso e nell’altro nel senso opposto (si trattava della Russia e forse gli articoli sono del 1918: sulla Russia il Loria scrisse nel «Tempo» del 10 marzo 1918 e nella «Gazzetta» del 1° giugno successivo).
A proposito delle osservazioni del Croce sulla dottrina loriana dei «servi a spasso» e della sua importanza nella sociologia loriana è da ricordare un capocronaca della «Gazzetta del Popolo» del ’18 o anni successivi (prima del ’21), in cui il Loria parla degli intellettuali come di quelli che tengono dritta la «scala d’oro» sulla quale sale il popolo, con avvertimenti al popolo di tenersi buoni questi intellettuali ecc. ecc.
Loria non è un caso teratologico individuale: è invece l’esemplare più compiuto e finito di una serie di rappresentanti di un certo strato intellettuale di un determinato periodo storico; in generale di quello strato di intellettuali positivisti che si occuparono della quistione operaia e che erano più o meno convinti di approfondire e rivedere e superare la filosofia della prassi. Ma è da notare che ogni periodo ha il suo lorianismo più o meno compiuto e perfetto e ogni paese ha il suo: l’hitlerismo ha mostrato che in Germania covava, sotto l’apparente dominio di un gruppo intellettuale serio, un lorianismo mostruoso che ha rotto la crosta ufficiale e si è diffuso come concezione e metodo scientifico di una nuova «ufficialità». Che Loria potesse esistere, scrivere, elucubrare, stampare a sue spese libri e libroni, niente di strano: esistono sempre gli scopritori del moto perpetuo e i parroci che stampano continuazioni della Gerusalemme Liberata. Ma che egli sia diventato un pilastro della cultura, un «maestro», e che abbia trovato «spontaneamente» un grandissimo pubblico, ecco ciò che fa riflettere sulla debolezza, anche in tempi normali, degli argini critici che pur esistevano: è da pensare come, in tempi anormali, di passioni scatenate, sia facile a dei Loria, appoggiati da forze interessate, di traboccare da ogni argine e di impaludare per decenni un ambiente di civiltà intellettuale ancora debole e gracile.
Solo oggi (1935), dopo le manifestazioni di brutalità e d’ignominia inaudita della «cultura» tedesca dominata dall’hitlerismo, qualche intellettuale si è accorto di quanto fosse fragile la civiltà moderna – in tutte le sue espressioni contradditorie, ma necessarie nella loro contraddizione – che aveva preso le mosse dal primo rinascimento (dopo il Mille) e si era imposta come dominante attraverso la Rivoluzione francese e il movimento d’idee conosciuto come «filosofia classica tedesca» e come «economia classica inglese». Perciò la critica appassionata di intellettuali come Giorgio Sorel, come Spengler ecc., che riempiono la vita culturale di gas asfissianti e sterilizzanti.
Q28 §2 Col Loria occorre esaminare Enrico Ferri e Lumbroso. Arturo Labriola. Lo stesso Turati potrebbe dare una certa messe di osservazioni e aneddoti. Luzzati, in altro campo, è da vedere. Guglielmo Ferrero. Corrado Barbagallo (nel Barbagallo le manifestazioni «loriane» sono forse più occasionali ed episodiche: pure il suo scritto sul capitalismo antico pubblicato nella «Nuova Rivista Storica» del 1929 è estremamente sintomatico; con la postilla un po’ comica che segue all’articolo del prof. G. Sanna). Molti documenti del «lorianesimo» in senso largo si possono trovare nella «Critica», nella «Voce» e nell’«Unità» fiorentina.
Q28 §3 L’ossicino di Cuvier. Esposizione del principio di Cuvier. Ma non tutti sono Cuvier e specialmente la «sociologia» non può essere paragonata alle scienze naturali. Le generalizzazioni arbitrarie e «bizzarre» vi sono estremamente più possibili (e più dannose per la vita pratica).
Q28 §4 Paolo Orano. Due «stranezze» di P. Orano (a memoria): il «saggio» Ad metalla, nel volume Altorilievi (ed. Puccini, Milano), in cui propone agli operai minatori (dopo una catastrofe mineraria) di abbandonare definitivamente lo sfruttamento delle miniere, di tutte le miniere: lo propone da «sindacalista», da rappresentante di una nuova morale dei produttori moderni ecc., cioè propone, come niente, di interrompere e distruggere tutta l’industria metallurgica e meccanica; il volumetto sulla Sardegna (che pare sia il primo scritto pubblicato dall’Orano, dove si parla di un comico «liquido ambiente» ecc. Nei «medaglioni» (I Moderni) e nelle altre pubblicazioni dell’Orano c’è molto da spulciare, fino alla sua più recente produzione (ricordare il discorso di risposta alla Corona dopo il Concordato, dove c’è una teoria dell’«arbitrario», connesso col bergsonismo, veramente spassosa).
Q28 §5 Nelle lettere di G. Sorel a B. Croce si può spigolare più di un elemento di lorianesimo nella produzione letteraria dei sindacalisti italiani. Il Sorel afferma, per esempio, che nella tesi di laurea di Arturo Labriola si scrive come se il Labriola credesse che il Capitale di Marx è stato elaborato sull’esperienza economica francese e non su quella inglese.
Q28 §6 Alberto Lumbroso. A. Lumbroso è da collocare nella serie loriana, ma in altro campo e da altro punto di vista.
Si potrebbe fare un’introduzione generale alla rassegna, per dimostrare come Loria non sia una eccezione, nel suo campo, ma si tratti di un fenomeno generale di deterioramento culturale, che forse ha avuto la tumefazione più vistosa nel campo «sociologico». Così sono da ricordare Tommaso Sillani e la sua «casa dei parti», la «gomma di Vallombrosa» di Filippo Carli, del quale è notevole anche un grande articolo della «Perseveranza» (del 1918-1919) sul prossimo trionfo della navigazione a vela su quella a vapore; la letteratura economica dei protezionisti vecchia covata è piena di tali preziosità, che hanno avuto molti continuatori anche in tempi più vicini, come si può vedere negli scritti del Belluzzo sulle possibili ricchezze nascoste nelle montagne italiane e sullo scatenamento di scempiaggini che ha provocato la prima campagna per il ruralismo e l’artigianato.
Questi elementi generici e vagabondi del «lorianismo» potrebbero servire per rendere piacevole l’argomento. Si potrebbe ricordare come caso limite e assurdo perché già appartenente alla tecnica clinica‑patologica, la candidatura del Lenzi al IV collegio di Torino nel 1914, con l’«aereo cigno», il «filopresentaneismo» e la proposta di radere le montagne italiane, ingombranti, per trasportarne il materiale in Libia e fertilizzare così il deserto (mi pare però che anche il Kropotkin, nella Lotta per il pane, proponga di macinare i sassi per rendere più ampia l’area coltivabile).
Il caso del Lumbroso è molto interessante, perché suo padre (Giacomo) era un erudito di gran marca; ma la metodologia dell’erudizione (e la serietà scientifica), a quanto pare non si trasmette per generazione e neppure per il contatto intellettuale il più assiduo. C’è da domandarsi, nel caso Lumbroso, come i suoi due ponderosi volumi sulle Origini diplomatiche e politiche della guerra abbiano potuto essere accolti nella Collezione Gatti: la responsabilità del sistema è qui evidente. Così per Loria e la Riforma Sociale, per L. Luzzatti e il «Corriere della Sera» (a proposito del Luzzatti è da ricordare il caso del «fioretto» di S. Francesco, pubblicato come inedito dal «Corriere» – del 1913, mi pare, o prima – con un commento economico spassosissimo proprio del Luzzatti che aveva poco prima pubblicato un’edizione dei Fioretti nella Collezione Notari; il così detto inedito era una variante inviata al Luzzatti dal Sabatier). Del Luzzatti frasi famose, come «lo sa il tonno» in un articolo del «Corriere», che è stata l’origine casuale del libro del Bacchelli.
Q28 §7 Lorianismo nella scienza geografica. Ricordare il libro del prof. Alberto Magnaghi (fuori commercio) sui geografi spropositanti. Mi pare che il libro sia un modello del genere.
Q28 §8 Ricordare il volume sulla Cultura italiana di Papini e Prezzolini (ed. Lumachi e F. Gonnelli).
Q28 §9 Turati. Il discorso parlamentare sulle «salariate dell’amore». Discorso disonorevole e abbietto. I tratti di «cattivo gusto» del Turati sono numerosi nelle sue «poesie».
Q28 §10 Credaro‑Luzzatti. Ricordare l’episodio parlamentare Credaro‑Luzzatti. Era stata proposta una cattedra speciale all’Università di Roma di «filosofia della storia» per Guglielmo Ferrero (nell’11 o nel 12). Il ministro Credaro, fra l’altro, giustificò la «filosofia della storia» (contro B. Croce che aveva parlato in Senato contro la cattedra) con l’importanza che i filosofi hanno avuto nello svolgimento della storia, citando come esempio… Cicerone. Il Luzzatti assentì gravemente: «È vero! È vero!».
Q28 §11 Graziadei e il paese di Cuccagna. Cfr nel libretto di Graziadei Sindacati e Salari la alquanto comica risposta alla nota del Croce sul graziadeiano paese di Cuccagna, dopo quasi trent’anni. La risposta, comica, ma non sprovvista di una buona dose digesuitismo politico (crocianesimo tardivo di un certo gruppetto di personaggi laschiani: il Lasca diceva che l’uomo è un pezzo di sterco su due fuscelli), è stata indubbiamente determinata dal saggio pubblicato nel 1926 dall’«Unter dem Banner» su Prezzo e sovraprezzo che si iniziava appunto con la citazione della nota crociana. (Sarebbe interessante ricercare nella produzione letteraria del Graziadei i possibili accenni al Croce: non ha mai risposto, neppure indirettamente? Eppure la pizzicata era stata forte! In ogni modo, l’ossequio all’autorità scientifica del Croce espresso con tanta unzione dopo trent’anni, è veramente comico). Il motivo del paese di Cuccagna rilevato dal Croce in Graziadei, è di un certo interesse generale, perché serve a rintracciare una corrente sotterranea di romanticismo e di fantasticherie popolari alimentata dal «culto della scienza», dalla «religione dei progresso» e dall’ottimismo del secolo XIX, che è stato anch’esso una forma di oppio. In questo senso è da vedere se non sia stata legittima e di larga portata la reazione del Marx, che colla legge tendenziale della caduta del saggio del profitto e col così detto catastrofismo gettava molta acqua nel fuoco; è da vedere anche in che misura l’«oppiomania» abbia impedito una analisi più accurata delle proposizioni del Marx.
Queste osservazioni riconducono alla quistione della «utilità» o meno di una esposizione del lorianismo. A parte il fatto di un giudizio «spassionato» dell’opera complessiva del Loria e dell’apparente «ingiustizia» di mettere in rilievo solo le manifestazioni strampalate del suo ingegno, rimane, per giustificare queste notazioni, una serie di ragioni. Gli «autodidatti» specialmente sono inclini, per l’assenza di una disciplina critica e scientifica, a fantasticare di paesi di Cuccagna e di facili soluzioni di ogni problema. Come reagire? La soluzione migliore sarebbe la scuola, ma è soluzione di lunga attesa, specialmente per le grandi agglomerazioni di uomini che si lasciano portare all’oppiomania. Occorre perciò colpire intanto la «fantasia» con dei tipi «grandiosi» di ilotismo intellettuale, creare l’avversione «istintiva» per il disordine intellettuale, accompagnandolo col senso del ridicolo; ciò, come si è visto sperimentalmente in altri campi, si può ottenere, anche con una certa facilità, perché il buon senso, svegliato da un opportuno colpo di spillo, quasi fulmineamente annienta gli effetti dell’oppio intellettuale. Questa avversione è ancora poco, ma è già la premessa necessaria per instaurare un ordine intellettuale indispensabile: perciò il mezzo pedagogico indicato ha la sua importanza.
Ricordare alcuni episodi tipici: l’Interplanetaria del 1916‑17 di Rab.; l’episodio del «moto perpetuo» nel 1925, mi pare; figure come Pozzoni di Como e altri, che risolvevano tutto partendo dall’affitto della casa ecc. (Del resto, un episodio clamoroso è stato quello della «Baronata» che ha offerto uno spunto al Diavolo al Pontelungo del Bacchelli). La mancanza di sobrietà e di ordine intellettuale si accompagna molto spesso al disordine morale. La quistione sessuale porta, con le sue fantasticherie, molto disordine: poca partecipazione delle donne alla vita collettiva, attrazione di farfalloni postribolari verso iniziative serie ecc. (ricordare l’episodio narrato da Cecilia De Tourmay che è verosimile, anche se inventato); in molte città, specialmente meridionali, alle riunioni femminili, faticosamente organizzate, si precipitavano subito i liberoamoristi coi loro opuscoli neomaltusiani ecc. e tutto era da rifare. Tutti i più ridicoli fantasticatori che nei loro nascondigli di geni incompresi fanno scoperte strabilianti e definitive, si precipitano su ogni movimento nuovo persuasi di poter spacciare le loro fanfaluche. D’altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà.
Q28 §12 Guglielmo Ferrero. Ricordare gli spropositi contenuti nelle prime edizioni di alcuni suoi libri di storia: per esempio una misura itineraria persiana creduta una regina, di cui si scrive la biografia romanzata ecc. (Come sarebbe se tra mille anni, in un’epoca di puritanesimo, si scoprisse un’insegna da villaggio con su «Regia Gabella» e l’immagine di ragazza con la pipa in bocca diventasse una «Regina Gabella» ricettacolo di tutti i vizî). Del resto il Ferrero non ha cambiato: nella sua Fine delle avventure che è del 1930, mi pare, si crede possibile tornare alla «guerra dei merletti» e si esalta l’arte militare dei cicisbei.
Q28 §13 Luigi Valli. Luigi Valli e la sua interpretazione «cospiratoria» e massonica del dolce stil nuovo (con i precedenti di D. G. Rossetti e del Pascoli) è da porre in una determinata serie del Lorianismo. Invece Giulio Salvadori che nei Promessi Sposi scopre il dramma di Enrichetta Blondel (Lucia) oppressa dal Condorcet, Donna Giulia e il Manzoni stesso (Don Rodrigo, l’Innominato ecc.) è forse piuttosto da considerare come un «seguace» inconscio delle teorie di Freud, fenomeno curioso a sua volta per tanti aspetti. (Di Giulio Salvadori e della sua interpretazione cfr un articolo in «Arte e vita» del giugno 1920 e il libro postumo Enrichetta Manzoni‑Blondel e il Natale del 33, Treves, 1929).
Q28 §14 Loria e l’altimetria. A proposito delle teorie «altimetriche» del Loria si potrebbe ricordare, per ridere, che, secondo Aristotele, «le acropoli sono opportune pei governi oligarchici e tirannici, le pianure per i governi democratici».
Q28 §15 Corso Bovio. Corso Bovio deve essere collocato nel quadro del Lorianismo, ma occorre nello stesso tempo, ricordare di mantenere le distanze per la prospettiva. Nel quadro Loria è un «elefante», cos’è Corso Bovio? Certi fiamminghi mettono sempre un cagnolino nei loro quadri, ma forse il cagnolino è già un animale troppo grosso e stimabile: una blatta è forse più adeguata a rappresentare Corso Bovio.
Q28 §16 Domenico Giuliotti. Alla «dottrina» loriana del nesso necessario tra misticismo e sifilide fa riscontro (fino a un certo punto) Domenico Giuliotti che, nella prefazione a Profili di Santi edito dalla Casa Ed. Rinascimento del Libro, scrive: «Eppure, o edifichiamo unicamente in Cristo o, in altri modi, edifichiamo nella morte. Nietzsche, per esempio, l’ultimo anticristiano di grido, è bene non dimenticare che finì luetico e pazzo». A quanto pare, secondo il Giuliotti, Nietzsche è solo uno di una serie, si tratta di una legge, cioè, ed «è bene non dimenticare» il nesso. Giuliotti dice: state attenti, ragazzi, a non essere anticristiani, perché altrimenti morrete luetici e pazzi; e ancora: «state ragazze attente agli anticristiani: essi sono luetici e pazzi». (La prefazione del Giuliotti è riportata dall’«Italia Letteraria» del 15 dicembre 1929: pare che il libro sia una raccolta di vite di santi tradotte dal Giuliotti).
Q28 §17 G. A. Fanelli. Un volume che può essere considerato come l’espressione‑limite teratologica della reazione degli intellettuali di provincia alle tendenze «americaniste» di razionalizzazione dell’economia, è quello di G. A. Fanelli (il cui settimanale rappresenta l’estrema destra retriva nell’attuale situazione italiana): L’Artigianato. Sintesi di un’economia corporativa, Ed. Spes, Roma, 1929, in 8°, pp. XIX‑505, L. 30.00, di cui la «Civiltà Cattolica» del 17 agosto 1929 pubblica una recensione nella rubrica Problemi sociali (del p. Brucculeri). È da notare che il padre gesuita difende la civiltà moderna (almeno in alcune sue manifestazioni) contro il Fanelli. Brani caratteristici del Fanelli citati dalla «Civiltà Cattolica»: «Il sistema (dell’industrialismo meccanico) presenta l’inconveniente di riassorbire per indiretta via, neutralizzandola, la massima parte dei materiali vantaggi che esso può offrire. Dei cavalli‑vapore installati, i tre quarti sono adibiti nei trasporti celeri, resi indispensabili dalla necessità di ovviare ai facili deperimenti che cagionano i forti concentramenti di merci. Della quarta parte, adibita alla concentrazione delle merci, circa la metà è impiegata nella produzione delle macchine, sì che, a somme fatte, di tutto l’enorme sviluppo meccanico che opprime il mondo col peso del suo acciaio, non altro che un ottavo dei cavalli installati viene impiegato nella produzione dei manufatti e delle sostanze alimentari» (p. 205, del libro).
«L’Italiano, temperamento asistematico, geniale, creatore, avverso alle razionalizzazioni, non può adattarsi a quella metodicità della fabbrica, in cui solo è riposto il rendimento del lavoro in serie. Che anzi, l’orario di lavoro diviene per lui puramente nominale per lo scarso rendimento ch’egli dà in un lavoro sistematico. Spirito eminentemente musicale, l’Italiano può accompagnarsi col solfeggio nel lavoro libero, attingendo da tale ricreazione nuove forze ed ispirazioni. Mente aperta, carattere vivace, cuore generoso, portato nella bottega… l’Italiano può esplicare le proprie virtù creative a cui, del resto, si appoggia tutta l’economia della bottega. Sobrio come nessun altro popolo, l’Italiano sa attingere, nella indipendenza della vita di bottega, qualunque sacrifizio o privazione per far fronte alle necessità dell’arte, mentre mortificato nel suo spirito creatore dal lavoro squalificato della fabbrica, egli sperpera la paga nell’acquisto di un oblio e di una gioia che gli abbrevian l’esistenza» (p. 171 del libro).
Nel piano intellettuale e culturale il libro del Fanelli corrisponde all’attività letteraria di certi poeti di provincia che ancora continuano a scrivere continuazioni, in ottava rima, della Gerusalemme Liberata e Vittoriosa (Conquistata), a parte certa mutria altezzosa e buffa. È da notare che le «idee» esposte dal Fanelli hanno avuto, in certi anni, una grande diffusione, ciò che era in curioso contrasto col programma «demografico» da una parte, e col concetto di «nazione militare» dall’altra, poiché non si può pensare a cannoni e corazzate costruite da artigiani o alla motorizzazione coi carri a buoi, né al programma di un’Italia «artigiana» e militarmente impotente in mezzo a Stati altamente industrializzati con le relative conseguenze militari: tutto ciò dimostra che i gruppi intellettuali che esprimevano queste lorianate in realtà s’infischiavano, non solo della logica, ma della vita nazionale, della politica e di tutto quanto. Non è molto difficile rispondere al Fanelli: il Brucculeri stesso nota giustamente che ormai l’artigianato è legato alla grande industria e ne dipende: esso ne riceve materie prime semilavorate e utensili perfezionati.
Che l’operaio italiano (come media) dia una produzione relativamente scarsa può essere vero: ma ciò dipende da ciò che in Italia l’industrialismo, abusando della massa crescente di disoccupati (che l’emigrazione solo in parte riusciva ad assorbire) è stato sempre un industrialismo di rapina, che ha speculato sui bassi salari e ha trascurato lo sviluppo tecnico; la proverbiale «sobrietà» degli italiani è solo una metafora per significare che non esiste un tenore di vita adeguato al consumo di energia domandato dal lavoro di fabbrica (quindi anche bassi rendimenti).
L’«Italiano» tipo, presentato dal Fanelli è coreografico e falso per ogni rispetto: nell’ordine intellettuale sono gli italiani che hanno creato l’«erudizione» e il paziente lavoro d’archivio: il Muratori, il Tiraboschi, il Baronio ecc. erano italiani e non tedeschi; la «fabbrica» come grande manifattura ebbe certo in Italia le sue prime manifestazioni organiche e razionali. Del resto, tutto questo parlare di artigianato e di artigiani è fondato su un equivoco grossolano: perché nell’artigianato esiste un lavoro in serie e standardizzato dello stesso tipo «intellettuale» di quello della grande industria razionalizzata: l’artigiano produce mobili, aratri, roncole, coltelli, case di contadini, stoffe ecc. sempre di uno stesso tipo, che è conforme al gusto secolare di un villaggio, di un mandamento, di un distretto, di una provincia, al massimo di una regione. La grande industria cerca di standardizzare il gusto di un continente o del mondo intero per una stagione o per qualche anno; l’artigianato subisce una standardizzazione già esistente e mummificata di una valle o di un angolo del mondo. Un artigianato a «creazione individuale» arbitraria incessante è così ristretto che comprende solo gli artisti nel senso stretto della parola (e ancora: solo i «grandi» artisti che diventano «prototipi» dei loro scolari).
Il libro del Fanelli eccelle per il lorianismo: ma può essere esaminato in altre rubriche: «Americanismo» e «Passato e Presente».
Q28 §18 L’altimetria, i buoni costumi e l’intelligenza. Nell’«utopia» di Ludovico Zuccolo: Il Belluzzi o la Città felice ristampato da Amy Bernardy nelle «Curiosità letterarie» dell’ed. Zanichelli (che non è precisamente un’utopia, perché si parla della repubblica di S. Marino) si accenna alla teoria loriana dei rapporti tra l’altimetria e i costumi umani. L. Zuccolo sostiene che «gli uomini di animo rimesso o di cervello ottuso si uniscono più facilmente a consultare degli affari comuni»: questa sarebbe la ragione della saldezza degli ordinamenti di Venezia, degli Svizzeri e di Ragusa, mentre gli uomini di natura vivace ed acuta, come i fiorentini, sono portati alla sopraffazione o «a occuparsi dei privati interessi senza punto occuparsi dei pubblici». Come allora spiegarsi che i Sanmarinesi, di natura vivace ed acuta, abbiano tuttavia conservato per tanti secoli un governo popolare? Perché a S. Marino la sottigliezza d’aria che rende ben composti e vigorosi i corpi, produce anche gli «spiriti puri e sinceri». È vero che lo Zuccolo parla anche delle ragioni economiche, cioè la mediocrità delle ricchezze individuali, per cui il più ricco ha «poco davantaggio» e al più povero non manca nulla. Questa eguaglianza è assicurata da buone leggi: proibizione dell’usura, inalienabilità della terra ecc.
Lo Zuccolo ha scritto un’«Utopia» vera e propria, La Repubblica di Evandria, posta in una penisola agli antipodi dell’Italia, che, secondo il Gargàno (Un utopista di senso pratico in «Marzocco» del 2 febbraio 1930) avrebbe un legame con l’Utopia di T. Moro e avrebbe quindi originato il Belluzzi.