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Library:Prison Notebooks In Original Italian/Notebook 18

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Written in 1934

     QUADERNO 18


         NICCOLÒ MACHIAVELLI II


Q18 §1 La «Rivista d’Italia» del 15 giugno 1927 è interamente dedicata al Machiavelli in occasione del IV centenario della morte. Eccone l’indice: 1) Charles Benoist, Le Machiavélisme perpétuel; 2) Filippo Meda, Il machiavellismo; 3) Guido Mazzoni, Il Machiavelli drammaturgo; 4) Michele Scherillo, Le prime esperienze politiche del Machiavelli; 5) Vittorio Cian, Machiavelli e Petrarca; 6) Alfredo Galletti, Niccolò Machiavelli umanista; 7) Francesco Ercole, Il Principe; 8) Antonio Panella, Machiavelli storico; 9) Plinio Carli, N. Machiavelli scrittore; 10) Romolo Caggese, Ciò che è vivo nel pensiero politico di Machiavelli.

L’articolo del Mazzoni è mediocre e prolisso: erudito- storico‑divagativo. Come capita spesso a questo tipo di critici, il Mazzoni non ha ben capito il contenuto letterario della Mandragola, falsifica il carattere di messer Nicia e quindi tutto il complesso dei personaggi, che sono in funzione dell’avventura di messer Nicia; il quale non si aspettava un figlio dall’accoppiamento di sua moglie con Callimaco travestito, ma si aspettava invece di avere la moglie resa feconda per virtù dell’erba mandragola e liberata per l’accoppiamento con un estraneo dalle supposte conseguenze micidiali della pozione, che altrimenti sarebbero state subite da lui stesso. Il genere di scimunitaggine di messer Nicia è ben circoscritto e rappresentato: egli crede che la sterilità delle sue nozze non dipenda da lui stesso, vecchio, ma dalla moglie giovane ma fredda e a questa presunta infecondità della moglie vuole riparare, non col farla fecondare da un altro, ma ottenendo che da infeconda sia trasformata in feconda.

Che messer Nicia si lasci convincere a far accoppiar la moglie con uno che dovrà morire per liberarla da un presunto maleficio che altrimenti sarebbe causa di allontanamento per lui dalla moglie o di morte per lui, è un elemento comico che si trova in altre forme nella novellistica popolare dove si suol dipingere la protervia delle donne che per dare la sicurezza agli amanti si fanno possedere in presenza e col consenso del marito (motivo che, in altra forma, appare anche nel Boccaccio). Ma nella Mandragola è rappresentata la stoltezza del marito e non la protervia della donna, la cui resistenza può essere domata anzi solo con l’intervento dell’autorità materna e di quella del confessore.

L’articolo di Vittorio Cian è anche inferiore a quello del Mazzoni: la retorica stopposa del Cian trova modo di abbarbicarsi anche sul bronzo. È evidente che il Machiavelli reagisce alla tradizione petrarchesca e cerca di spiantarla, nonché di continuarla; ma il Cian vede col senno di poi infantilmente applicato, precursori da per tutto e divinazioni miracolose in ogni frasetta banale e occasionale e distende dieci pagine sull’argomento per non dire che i soliti luoghi comuni amplificati dei manuali per le scuole medie ed elementari.

Q18 §2 Pasquale Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, a cura di Michele Scherillo, Ed. Ulrico Hoepli, Milano, 1927, due volumi, L. 60,00. (È la ristampa della nota opera del Villari, con in meno i documenti che nell’edizione Le Monnier occupano l’intero terzo volume e parte del secondo. In questa edizione dello Scherillo i documenti sono stati elencati con cenni sommari sul loro contenuto, in modo che facilmente si può andarli a ricercare nell’edizione Le Monnier).

Q18 §3 Articolo di Luigi Cavina nella Nuova Antologia del 16 agosto 1927: Il sogno nazionale di Niccolò Machiavelli in Romagna e il governo di Francesco Guicciardini.

L’argomento del saggio è interessante, ma il Cavina non ne sa trarre tutte le conseguenze necessarie, dato il carattere superficialmente descrittivo e retorico dello scritto.

Dopo la battaglia di Pavia e la definitiva sconfitta dei Francesi, che assicurava l’egemonia spagnola nella penisola, i signori italiani sono invasi dal panico. Il Machiavelli che si era recato a Roma per consegnare personalmente a Clemente VII le Istorie Fiorentine che aveva ultimato, propone al papa di creare una milizia nazionale (significato preciso del termine) e lo convince a fare un esperimento. Il papa invia il Machiavelli in Romagna presso Francesco Guicciardini che ne era Presidente, con un breve in data 6 giugno 1525. Il Machiavelli doveva esporre al Guicciardini il suo progetto e il Guicciardini doveva dare il suo parere.

Il breve di Clemente VII deve essere tutto interessante, egli espone lo sconvolgimento in cui si trova l’Italia, così grande da indurre a cercare anche rimedi nuovi e inconsueti e conclude: «Res magna est, ut iudicamus, et salus est in ea cum status ecclesiastici, tum totius Italiae ac prope universae cristianitatis reposita», dove si vede come l’Italia era per il papa il termine medio tra lo Stato ecclesiastico e la cristianità.

Perché l’esperienza in Romagna? Oltre alla fiducia che il papa aveva nella prudenza politica del Guicciardini, occorre forse pensare ad altri elementi: i Romagnoli erano buoni soldati, avevano combattuto con valore e fedeltà ad Agnadello, sia pure da mercenari. C’era poi stato in Romagna il precedente del Valentino, che aveva reclutato tra il popolo buoni soldati, ecc.

Il Guicciardini fino dal 1512 aveva scritto che il dare le armi ai cittadini «non è cosa aliena da uno vivere di repubblica e populare, perché quando vi si dà una giustizia buona e ordinate leggi, quelle armi non si adoperano in pernizie, ma in utilità della patria» e aveva lodato anche l’istituzione dell’ordinanza ideata dal Machiavelli (tentativo di creare a Firenze una milizia cittadina, che preparò la resistenza durante l’assedio).

Ma il Guicciardini non credeva possibile fare il tentativo in Romagna per le fierissime divisioni di parte che vi dominavano (interessanti i giudizi del Guicciardini sulla Romagna): i ghibellini dopo la vittoria di Pavia sono pronti ad ogni novità; anche se non si danno le armi nascerà qualche subbuglio; non si può dare le armi per opporsi agli imperiali proprio ai fautori degli imperiali. La difficoltà inoltre è accresciuta dal fatto che lo Stato è ecclesiastico, cioè senza direttive a lunga scadenza e con facili grazie e impunità, alla più lunga ad ogni nuova elezione di papa. In altro Stato le fazioni si potrebbero domare, non nello Stato della Chiesa. Poiché Clemente VII col suo breve aveva detto che al buon risultato dell’impresa occorrevano non solo ordine e diligenza, ma anche l’impegno e l’amore del popolo, il Guicciardini dice che ciò non può essere perché «la Chiesa in effetto non ci ha amici, né quelli che desidererebbero bene vivere, né per diverse ragioni i faziosi e tristi».

Ma l’iniziativa non ebbe altro seguito, perché il papa lasciò cadere il progetto. L’episodio è tuttavia del massimo interesse, per mostrare quanto grande fosse la volontà e la virtù di persuasione del Machiavelli, per i giudizi pratici immediati del Guicciardini e anche per l’atteggiamento del papa che evidentemente rimase per qualche tempo sotto l’influsso del Machiavelli; il breve può assumersi come un compendio della concezione del Machiavelli adattata alla mentalità pontificia.

Non si conoscono le ragioni che il Machiavelli (deve) aver contrapposto alle osservazioni del Guicciardini, perché questi non ne parla nelle sue lettere e le lettere del Machiavelli a Roma non si conoscono. Si può osservare che le innovazioni militari sostenute dal Machiavelli non potevano essere improvvisate in pieno sviluppo dell’invasione spagnola e che le sue proposte al papa in quel momento non potevano avere risultati concreti.