Library:Prison Notebooks In Original Italian/Notebook 26: Difference between revisions
More languages
More actions
(date written) |
General-KJ (talk | contribs) No edit summary |
||
Line 340: | Line 340: | ||
positiva, che si sarebbe verificata in ogni caso. La ricerca della | positiva, che si sarebbe verificata in ogni caso. La ricerca della | ||
storia di questi termini ha un significato culturale non trascurabile. | storia di questi termini ha un significato culturale non trascurabile. | ||
[[Category:Prison Notebooks]] |
Latest revision as of 19:27, 13 November 2024
Written in 1935
QUADERNO 26
ARGOMENTI DI CULTURA II
Q26 §1 Indicazioni bibliografiche. 1) Il Catalogo dei cataloghi del
libro italiano, pubblicato dalla Società generale delle Messaggerie
italiane di Bologna nel 1926 (sono stati pubblicati successivamente dei
supplementi) è una pubblicazione da tener presente per le ricerche
bibliografiche. Questo repertorio contiene i dati di 65 000 volumi (meno
l’indicazione dell’editore) classificati in 18 classi, due indici
alfabetici, uno degli autori, curatori e traduttori e uno degli
argomenti con relativi richiami alla classe e al numero d’ordine.
2) Altra pubblicazione bibliografica da tener presente è il Catalogo metodico degli scritti contenuti nelle Pubblicazioni periodiche italiane e straniere edita dalla Biblioteca della Camera dei Deputati.
Q26 §2 L’«equazione personale». I calcoli dei movimenti stellari sono turbati da quella che gli scienziati chiamano l’«equazione personale», per cui sono necessari controlli e rettifiche. Vedere esattamente come si identifica questa causa di errore, con quali criteri e come viene apportata la rettifica. In ogni modo, la nozione di «equazione personale» può essere impiegata utilmente anche in altri campi oltre che nell’astronomia.
Q26 §3 Il naso di Cleopatra. Cercare il senso esatto che Pascal dava a questa sua espressione divenuta tanto famosa (è contenuta nelle Pensées) e il suo legame con le opinioni generali dello scrittore. (Frivolità della storia degli uomini; pessimismo giansenistico).
Q26 §4 Del ragionare per medie statistiche. Del ragionare e specialmente del «pensare» per medie statistiche. In questo caso è utile ricordare la barzelletta secondo la quale se Tizio fa due pasti al giorno e Caio nessuno, «statisticamente» Tizio e Caio fanno «in media» un pasto al giorno ciascuno. La deformazione di pensiero originata dalla statistica è molto più diffusa di quanto non si creda. Generalizzazione astratta, senza una continua ripresa di contatto con la realtà concreta. Ricordare come un partito austriaco, che aveva due suoi soci in un sindacato, scrisse che la sua influenza nel sindacato era cresciuta del 50% perché un terzo socio si aggiunse ai primi due.
Q26 §5 «Contraddizioni» dello storicismo ed espressioni letterarie di esse (ironia, sarcasmo). Vedere le pubblicazioni di Adriano Tilgher contro lo storicismo. Da un articolo di Bonaventura Tecchi (Il Demiurgo di Burzio, «Italia Letteraria», 20 ottobre 1929) sono estratti alcuni spunti di F. Burzio che sembrano mostrare nel Burzio una certa profondità (se si astrae dal linguaggio sforzato e dalle costruzioni a tendenza paradossale‑letteraria) nello studio delle contraddizioni «psicologiche» che nascono sul terreno dello storicismo idealistico, ma anche in quello dello storicismo integrale.
È da meditare l’affermazione: «essere sopra alle passioni e ai sentimenti pur provandoli»‘, che potrebbe essere ricca di conseguenze. Infatti il nodo delle quistioni che sorgono a proposito dello storicismo, e che il Tilgher non riesce di districare, è proprio nella constatazione che «si può essere critici e uomini d’azione nello stesso tempo, in modo non solo che l’uno aspetto non indebolisca l’altro, ma anzi lo convalidi». Il Tilgher molto superficialmente e meccanicamente scinde i due termini della personalità umana (dato che non esiste e non è mai esistito un uomo tutto critico e uno tutto passionale), mentre invece si deve cercare di determinare come in diversi periodi storici i due termini si combinano sia nei singoli, sia per strati sociali (aspetto della quistione della funzione sociale degli intellettuali) facendo prevalere (apparentemente) un aspetto o l’altro (si parla di epoche di critica, di epoche di azione, ecc.). Ma non pare che neanche il Croce abbia analizzato a fondo il problema negli scritti dove vuol determinare il concetto «politica = passione»: se l’atto concreto politico, come dice il Croce, si attua nella persona del capo politico, è da osservare che la caratteristica del capo come tale non è certo la passionalità, ma il calcolo freddo, preciso, obbiettivamente quasi impersonale, delle forze in lotta e dei loro rapporti (tanto più ciò vale se si tratta di politica nella sua forma più decisiva e determinante, la guerra o qualsiasi altra forma di lotta armata). Il capo suscita e dirige le passioni, ma egli stesso ne è «immune» o le domina per meglio scatenarle, raffrenarle al momento dato, disciplinarle, ecc.; deve più conoscerle, come elemento obbiettivo di fatto, come forza, che «sentirle» immediatamente, deve conoscerle e comprenderle, sia pure con «grande simpatia» (e allora la passione assume una forma superiore, che occorre analizzare, sulla traccia dello spunto del Burzio; tutta la quistione è da vedere sui «testi» autentici).
Dallo scritto del Tecchi pare che il Burzio accenni spesso all’elemento «ironia» come caratteristica (o una delle caratteristiche) della posizione riferita e condensata nella affermazione «essere sopra alle passioni e ai sentimenti pur provandoli». Pare evidente che l’atteggiamento «ironico» non possa essere quello del capo politico o militare nei confronti delle passioni e sentimenti dei seguaci e diretti. «Ironia» può essere giusto per l’atteggiamento di intellettuali singoli, individuali, cioè senza responsabilità immediata sia pure nella costruzione di un mondo culturale o per indicare il distacco dell’artista dal contenuto sentimentale della sua creazione (che può «sentire» ma non «condividere», o può condividere ma in forma intellettualmente più raffinata); ma nel caso dell’azione storica, l’elemento «ironia» sarebbe solo letterario o intellettualistico e indicherebbe una forma di distacco piuttosto connessa allo scetticismo più o meno dilettantesco dovuto a disillusione, a stanchezza, a «superominismo». Invece nel caso dell’azione storico‑politica l’elemento stilistico adeguato, l’atteggiamento caratteristico del distacco‑comprensione, è il «sarcasmo» e ancora in una forma determinata, il «sarcasmo appassionato». Nei fondatori della filosofia della prassi si trova l’espressione più alta, eticamente ed esteticamente, del sarcasmo appassionato. Altre forme. Di fronte alle credenze e illusioni popolari (credenza nella giustizia, nell’eguaglianza, nella fraternità, cioè negli elementi ideologici diffusi dalle tendenze democratiche eredi della Rivoluzione francese), c’è un sarcasmo appassionatamente «positivo», creatore, progressivo: si capisce che non si vuol dileggiare il sentimento più intimo di quelle illusioni e credenze, ma la loro forma immediata, connesso a un determinato mondo «perituro», il puzzo di cadavere che trapela attraverso il belletto umanitario dei professionisti degli «immortali principii». Perché esiste anche un sarcasmo di «destra», che raramente è appassionato, ma è sempre «negativo», scettico e distruttivo non solo della «forma» contingente, ma del contenuto «umano» di quei sentimenti e credenze. (E a proposito dell’attributo «umano» si può vedere in alcuni libri, ma specialmente nella Sacra Famiglia, quale significato occorre dargli). Si cerca di dare al nucleo vivo delle aspirazioni contenute in quelle credenze una nuova forma (quindi di innovare, determinare meglio quelle aspirazioni), non di distruggerle. Il sarcasmo di destra cerca invece di distruggere proprio il contenuto delle aspirazioni (non, beninteso, nelle masse popolari, che allora si distruggerebbe anche il cristianesimo popolare, ma negli intellettuali), e perciò l’attacco alla «forma» non è che un espediente «didattico».
Come sempre avviene, le prime e originali manifestazioni del sarcasmo hanno avuto imitatori e pappagalli; lo stile è diventato una «stilistica», è divenuto una specie di meccanismo, una cifra, un gergo, che potrebbero dar luogo ad osservazioni piccanti (per es., quando la parola «civiltà» è sempre accompagnata dall’aggettivo «sedicente», è lecito pensare che si creda nell’esistenza di una «civiltà» esemplare, astratta, o almeno ci si comporta come se ciò si credesse, cioè dalla mentalità critica e storicistica si passa alla mentalità utopistica). Nella forma originaria il sarcasmo è da considerare come una espressione che mette in rilievo le contraddizioni di un periodo di transizione; si cerca di mantenere il contatto con le espressioni subalterne umane delle vecchie concezioni e nello stesso tempo si accentua il distacco da quelle dominanti e dirigenti, in attesa che le nuove concezioni, con la saldezza acquistata attraverso lo sviluppo storico, dominino fino ad acquistare la forza delle «credenze popolari». Queste nuove concezioni sono già acquisite saldamente in chi adopera il sarcasmo, ma devono essere espresse e divulgate in atteggiamento «polemico», altrimenti sarebbero una «utopia» perché apparirebbero «arbitrio» individuale o di conventicola: d’altronde, per la sua natura stessa, lo «storicismo» non può concepire se stesso come esprimibile in forma apodittica o predicatoria, e deve creare un gusto stilistico nuovo, persino un linguaggio nuovo come mezzi di lotta intellettuale. Il «sarcasmo» (come, nel piano letterario ristretto dell’educazione di piccoli gruppi, l’«ironia») appare pertanto come la componente letteraria di una serie di esigenze teoriche e pratiche che superficialmente possono apparire come insanabilmente contraddittorie; il suo elemento essenziale è la «passionalità» che diventa criterio della potenza stilistica individuale (della sincerità, della profonda convinzione in opposto al pappagallismo e al meccanicismo).
Da questo punto di vista occorre esaminare le ultime notazioni del Croce nella prefazione del 1917 al volume sul Materialismo storico , dove si parla della «maga Alcina», e alcune osservazioni sullo stile del Loria. Così è da vedere il saggio di Mehring sull’«allegoria» nel testo tedesco, ecc.
Q26 §6 Lo Stato «veilleur de nuit». Nella polemica (del resto superficiale) sulle funzioni dello Stato (e si intende dello Stato come organizzazione politico‑giuridica in senso stretto) l’espressione di «Stato ‑ veilleur de nuit» corrisponde all’italiano di «Stato carabiniere» e vorrebbe significare uno Stato le cui funzioni sono limitate alla tutela dell’ordine pubblico e del rispetto delle leggi. Non si insiste sul fatto che, in questa forma di regime (che poi non è mai esistito altro che, come ipotesi‑limite, sulla carta) la direzione dello sviluppo storico appartiene alle forze private, alla società civile, che è anch’essa «Stato», anzi è lo Stato stesso. Pare che l’espressione «veilleur de nuit», che dovrebbe avere un valore più sarcastico di «Stato carabiniere» o di «Stato poliziotto», sia di Lassalle. Il suo opposto dovrebbe essere lo «Stato etico» o lo «Stato intervenzionista» in generale, ma ci sono differenze tra una e l’altra espressione: il concetto di Stato etico è di origine filosofica e intellettuale (propria degli intellettuali: Hegel) e in verità potrebbe essere congiunta con quello di «Stato ‑ veilleur de nuit», poiché si riferisce piuttosto all’attività, autonoma, educativa e morale dello Stato laico in contrapposto al cosmopolitismo e all’ingerenza e organizzazione religioso‑ecclesiastica come residuo medioevale; il concetto di Stato intervenzionista è di origine economica ed è connesso, da una parte, alle correnti protezionistiche o di nazionalismo economico e, dall’altra, al tentativo di far assumere a un personale statale determinato, di origine terriera e feudale, la «protezione» delle classi lavoratrici contro gli eccessi del capitalismo (politica di Bismarck e Disraeli). Queste diverse tendenze possono combinarsi in vario modo e di fatto si sono combinate. Naturalmente i liberali «economisti» sono per lo «Stato ‑ veilleur de nuit» e vorrebbero che l’iniziativa storica fosse lasciata alla società civile e alle diverse forze che vi pullulano con lo «Stato» guardiano della «lealtà del gioco» e delle leggi di esso: gli intellettuali fanno distinzioni molto importanti quando sono liberali e anche quando sono intervenzionisti (possono essere liberali nel campo economico e intervenzionisti in quello culturale, ecc.).
I cattolici vorrebbero lo Stato intervenzionista in loro completo favore; in mancanza di ciò, o dove sono minoranza, domandano lo Stato «indifferente», perché non sostenga i loro avversari.
Q26 §7 Postulato. Nelle scienze matematiche, specialmente, s’intende per postulato una proposizione che, non avendo la evidenza immediata e la indimostrabilità degli assiomi, né potendo, d’altra parte, essere sufficientemente dimostrata come un teorema, è tuttavia provvista, in base ai dati dell’esperienza, di una tale verosimiglianza che può essere acconsentita o concessa anche dall’avversario e posta quindi a base di talune dimostrazioni. Il postulato quindi è, in questo senso, una proposizione richiesta ai fini della dimostrazione e costruzione scientifica.
Nell’uso comune, invece, postulato significa un modo di essere e di operare che si desidera realizzare (o conservare, se già realizzato; o anzi, che si vuole e, in certi casi si deve, attuare o conservare) o si afferma essere il risultato di una indagine scientifica (storia, economia, fisiologia ecc.). Perciò si fa spesso confusione (o si interferisce) tra il significato di «rivendicazione», di «desiderata», di «esigenza» e quello di «postulato» e di «principio»; i postulati di un partito politico o di uno Stato sarebbero i suoi «principii» pratici, da cui conseguono immediatamente le rivendicazioni di carattere più concreto e particolare (esempio: l’indipendenza del Belgio è un postulato della politica inglese, ecc.).
Q26 §8 Classe media. Il significato dell’espressione «classe media» muta da un paese all’altro (come muta quello di «popolo» o di «volgo» in rapporto alla boria di certi strati sociali) e perciò dà luogo spesso a equivoci molto curiosi (ricordare come il sindaco Frola di Torino firmasse un manifesto in inglese col titolo «Lord Mayor»). Il termine è venuto dalla letteratura politica inglese ed esprime la particolare forma dello sviluppo sociale inglese. Pare che in Inghilterra la borghesia non sia mai stata concepita come una parte integrante del popolo, ma sempre come una entità staccata da questo: è avvenuto anzi, nella storia inglese, che non la borghesia abbia guidato il popolo e si sia fatta aiutare da esso per abbattere i privilegi feudali, ma la nobiltà (o una frazione di essa) abbia formato il blocco nazionale‑popolare contro la Corona prima e poi contro la borghesia industriale. Tradizione inglese di un torismo popolare (Disraeli, ecc.). Dopo le grandi riforme liberali che conformarono lo Stato agli interessi e ai bisogni della classe media, i due partiti fondamentali della vita politica inglese si distinsero su quistioni interne riguardanti la stessa classe, la nobiltà acquistò sempre più un carattere particolare di «aristocrazia borghese» legata a certe funzioni della società civile e di quella politica (Stato) riguardanti la tradizione, l’educazione del ceto dirigente, la conservazione di una data mentalità che garantisce da bruschi rivolgimenti, ecc., la consolidazione della struttura imperiale, ecc.
In Francia il termine «classe media» dà luogo ad equivoci, nonostante che l’aristocrazia, di fatto, abbia conservato molta importanza come casta chiusa: il termine viene adoperato sia nel senso inglese, sia nel senso italiano di piccola e media borghesia. In Italia dove l’aristocrazia feudale è stata distrutta dai Comuni (fisicamente distrutta nelle guerre civili, eccetto che nell’Italia meridionale e in Sicilia), poiché manca la classe «alta» tradizionale, il termine di «media» si è abbassato di un gradino. Classe media significa «negativamente» non‑popolo, cioè «non operai e contadini»; significa positivamente i ceti intellettuali, i professionisti, gli impiegati.
È da notare come il termine «signore» sia diffuso in Italia da molto tempo per indicare anche i non‑nobili; il «don» meridionale, «galantuomini», «civili», «borghesi», ecc.; in Sardegna «signore» non è mai il rurale, anche quello ricco ecc.
Q26 §9 Ufficiale. Il termine «ufficiale», specialmente nelle traduzioni da lingue straniere (in primo luogo dall’inglese) dà luogo ad equivoci, a incomprensioni e... stupore. In italiano, il significato di «ufficiale» è sempre più venuto restringendosi e ormai indica solo gli ufficiali dell’esercito: nel significato più largo è rimasto il termine solo in alcune espressioni diventate idiomatiche e di origine burocratica: «pubblico ufficiale», «ufficiale dello stato civile», ecc. In inglese «official» indica ogni specie di funzionario (per ufficiale dell’esercito si usa «officer», che però indica anch’esso il funzionario in generale) non solo dello Stato ma anche privato (funzionario sindacale). (Sarà utile però fare un’indagine più precisa, di carattere storico, giuridico, politico).
Q26 §10 Ascari, krumiri, moretti, ecc. Venivano chiamati «ascari» i deputati delle maggioranze parlamentari senza programma e senza indirizzo, quindi sempre pronti a defezionare e a lasciare in asso i governi che si basavano su di esse; l’espressione era legata alle prime esperienze fatte in Africa con le truppe indigene mercenarie.
La parola «crumiri» è legata all’occupazione della Tunisia da parte della Francia col pretesto iniziale di respingere ipotetiche tribù di Krumiri che dalla Tunisia si sarebbero spinte in Algeria per razziare. Ma come il termine è entrato a far parte del vocabolario speciale del sindacalismo operaio?
Il termine «moretto» deve essere una derivazione di «ascaro», ma era impiegato più che a mettere in rilievo l’insicurezza della fedeltà e la facilità a disertare, a mettere in rilievo l’attitudine al servilismo e la predisposizione a eseguire i più bassi servizi, con grande disinvoltura. (Può anche essere derivato dall’abitudine di avere come servitori dei negri).
Q26 §11 Rinascimento, Risorgimento, Riscossa, ecc. Nel linguaggio storico‑politico italiano è da notare tutta una serie di espressioni, legate strettamente al modo tradizionale di concepire la storia della nazione e della cultura italiana, che è difficile e talvolta impossibile di tradurre nelle lingue straniere. Così abbiamo il gruppo «Rinascimento», «Rinascita» («Rinascenza», francesismo), termini che sono ormai entrati nel circolo della cultura europea e mondiale, perché se il fenomeno indicato ebbe il massimo splendore in Italia, non fu però ristretto all’Italia.
Nasce nell’Ottocento il termine «Risorgimento» in senso più strettamente nazionale e politico, accompagnato dalle altre espressioni di «Riscossa nazionale» e «riscatto nazionale»: tutti esprimono il concetto del ritorno a uno stato di cose già esistito nel passato o di «ripresa» offensiva («riscossa») delle energie nazionali disperse intorno a un nucleo militante e concentrato, o di emancipazione da uno stato di servitù per ritornare alla primitiva autonomia («riscatto»). Sono difficili da tradurre appunto perché strettamente legate alla tradizione letteraria‑nazionale di una continuità essenziale della storia svoltasi nella penisola italiana, da Roma all’unità dello Stato moderno, per cui si concepisce la nazione italiana «nata» o «sorta» con Roma, si pensa che la cultura greco‑romana sia «rinata», la nazione sia «risorta», ecc. La parola «riscossa» è del linguaggio militare francese, ma poi è stata legata alla nozione di un organismo vivo che cade in letargia e si riscuote, sebbene non si possa negare che le è rimasto un po’ del primitivo senso militare.
A questa serie puramente italiana si possono collegare altre espressioni corrispondenti: per esempio il termine, di origine francese e indicante un fatto prevalentemente francese, «Restaurazione».
La coppia «formare e riformare», perché, secondo il significato assunto storicamente dalla parola, una cosa «formata» si può continuamente «riformare», senza che tra la formazione e la riforma sia implicito il concetto di una parentesi catastrofica o letargica, ciò che invece è implicito per «rinascimento» e «restaurazione». Si vede da ciò che i cattolici sostengono che la Chiesa Romana è stata più volte riformata dall’interno, mentre nel concetto protestante di «Riforma» è implicita l’idea di rinascita e restaurazione del cristianesimo primitivo, soffocato dal romanesimo. Nella cultura laica si parla perciò di Riforma e Controriforma, mentre i cattolici (e specialmente i gesuiti che sono più accurati e conseguenti anche nella terminologia) non vogliono ammettere che il Concilio di Trento abbia solamente reagito al luteranesimo e a tutto il complesso delle tendenze protestantiche, ma sostengono che si sia trattato di una «Riforma cattolica» autonoma, positiva, che si sarebbe verificata in ogni caso. La ricerca della storia di questi termini ha un significato culturale non trascurabile.