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Written in 1934
QUADERNO 24
GIORNALISMO
Q24 §1 Il tipo di giornalismo che si considera in queste è quello che
si potrebbe chiamare «integrale» (nel senso che acquisterà significato
sempre più chiaro nel corso delle stesse), cioè quello che non solo
intende soddisfare tutti i bisogni (di una certa categoria) del suo
pubblico, ma intende di creare e sviluppare questi bisogni e quindi di
suscitare, in un certo senso, il suo pubblico e di estenderne
progressivamente l’area. Se si esaminano tutte le forme di giornalismo e
di attività pubblicistica‑editoriale in genere esistenti, si vede che
ognuna di esse presuppone altre forze da integrare o alle quali
coordinarsi «meccanicamente». Per svolgere criticamente l’argomento e
studiarne tutti i lati, pare più opportuno (ai fini metodologici e
didattici) presupporre un’altra situazione: che esista, come punto di
partenza, un aggruppamento culturale (in senso lato) più o meno
omogeneo, di un certo tipo, di un certo livello e specialmente con un
certo orientamento generale e che su tale aggruppamento si voglia far
leva per costruire un edificio culturale completo, autarchico,
cominciando addirittura dalla... lingua, cioè dal mezzo di espressione e
di contatto reciproco.
Tutto l’edifizio dovrebbe essere costruito secondo principii «razionali», cioè funzionali, in quanto si hanno determinate premesse e si vogliono raggiungere determinate conseguenze. Certo, durante l’elaborazione del «piano» le premesse necessariamente mutano, perché se è vero che un certo fine presuppone certe premesse è anche vero che, durante l’elaborazione reale dell’attività data, le premesse sono necessariamente mutate e trasformate e la coscienza del fine, allargandosi e concretandosi, reagisce sulle premesse «conformandole» sempre più. L’esistenza oggettiva delle premesse permette di pensare a certi fini, cioè le premesse date sono tali solo in rapporto a certi fini pensabili come concreti. Ma se i fini cominciano progressivamente a realizzarsi, per il fatto di tale realizzazione, dell’effettualità raggiunta, mutano necessariamente le premesse iniziali, che intanto non sono più… iniziali e quindi mutano anche i fini pensabili e così via. A questo nesso si pensa ben raramente, quantunque sia di evidenza immediata. La sua manifestazione la vediamo nelle imprese «secondo un piano» che non sono puri «meccanismi», appunto perché si basano secondo questo modo di pensare in cui la parte della libertà e dello spirito d’iniziativa (spirito di «combinazioni») è molto più grande di quanto non vogliano ammettere, per il ruolo di maschere da commedia dell’arte che è loro proprio, i rappresentanti ufficiali della «libertà» e dell’«iniziativa» astrattamente concepite (o troppo «concretamente» concepite). Questo nesso è dunque vero, tuttavia è anche vero che le «premesse» iniziali si ripresentano continuamente sia pure in altre condizioni. Che una «leva scolastica» impari l’alfabeto non significa che l’analfabetismo scompaia di colpo e per sempre; ogni anno ci sarà una nuova «leva» a cui insegnare l’alfabeto. Tuttavia è evidente che quanto più l’analfabetismo diventa raro negli adulti, tanto meno difficoltà si presenteranno per popolare le scuole elementari fino al 100%: ci saranno sempre «analfabeti» ma essi tenderanno a scomparire fino al limite normale dei fanciulli di 5‑6 anni.
Q24 §2 Ecco come negli «Annali dell’Italia Cattolica» per il 1926 si descrivono i diversi tipi di giornale, con riferimento alla stampa cattolica: «In senso largo il giornale “cattolico” (o piuttosto “scritto da cattolici”) è quello che non contiene nulla contro la dottrina e morale cattolica, e ne segue e difende le norme. Dentro tali linee il giornale può perseguire intenti politici, economico‑sociali, o scientifici. Invece il giornale “cattolico” in senso stretto è quello che, d’intesa con l’Autorità Ecclesiastica, ha come scopo diretto un efficace apostolato sociale cristiano, a servizio della Chiesa e in aiuto dell’Azione cattolica. Esso importa, almeno implicitamente, la responsabilità dell’Autorità Ecclesiastica, e però ne deve seguire le norme e direttive».
Si distingue, insomma, il giornale così detto d’informazione o «senza partito» esplicito, dal giornale d’opinione, dall’organo ufficiale di un determinato partito; il giornale per le masse popolari o giornale «popolare» da quello dedicato a un pubblico necessariamente ristretto.
Nella storia della tecnica giornalistica, per alcuni aspetti, può essere ritenuto «esemplare» il «Piccolo» di Trieste, come appare almeno dal libro dedicato alla storia di questo giornale da Silvio Benco (per rapporto alla legislazione austriaca sulla stampa, alla posizione dell’irredentismo italiano nell’Istria, al legalitarismo formale delle autorità imperiali e regie, alle lotte interne tra le diverse frazioni dell’irredentismo, al rapporto tra la massa popolare nazionale e la direzione politica del nazionalismo italiano, ecc.).
Per altri aspetti è stato molto interessante il «Corriere della Sera» nel periodo giolittiano o liberale in genere, se si tiene conto della situazione giornalistica e politico‑culturale italiana, talmente diversa da quella francese e in generale da quella degli altri paesi europei. La divisione netta, esistente in Francia, tra giornali popolari e giornali d’opinione, non può esistere in Italia, dove manca un centro così popoloso e culturalmente predominante come Parigi (e dove esiste minore «indispensabilità» del giornale politico anche nelle classi superiori e così dette colte). È da notare inoltre come il «Corriere», pur essendo il giornale più diffuso del paese, non sia mai stato ministeriale esplicitamente che per brevi periodi di tempo e anche a modo suo: per essere «statale» doveva anzi essere quasi sempre antiministeriale, esprimendo così una delle più voli contraddizioni della vita nazionale.
Sarebbe utile ricercare nella storia del giornalismo italiano le ragioni tecniche e politico‑culturali della fortuna che ebbe per un certo tempo il vecchio «Secolo» di Milano. Pare che nella storia del giornalismo italiano si possano distinguere due periodi: quello «primitivo» dell’indistinto generico politico culturale che rese possibile la grande diffusione del «Secolo» su un programma di un vago «laicismo» (contro l’influsso clericale) e di un vago «democraticismo» (contro l’influsso preponderante nella vita statale delle forze di destra): il «Secolo» inoltre fu il primo giornale italiano «moderno» con servizi dall’estero, con abbondanza d’informazioni e di cronaca europea, ecc.; un periodo successivo in cui, attraverso il trasformismo, le forze di destra si «nazionalizzano» in senso popolare e il «Corriere» sostituisce il «Secolo» nella grande diffusione: il vago laicismo democratico del «Secolo» diventa nel «Corriere» unitarismo nazionale più concreto, il laicismo è meno plebeo e sbracato e il nazionalismo meno popolaresco e democratizzante. È da notare come nessuno dei partiti distintisi dall’informe popolarismo «secolino» abbia tentato di ricreare l’unità democratica su un piano politico‑culturale più elevato e concreto di quello precedente e primitivo, ma questo compito sia stato abbandonato quasi senza lotta ai conservatori del «Corriere». Eppure questo dovrebbe essere il compito, dopo ogni processo di chiarificazione e distinzione: ricreare l’unità, rottasi nel movimento progressivo, su un piano superiore, da parte della élite che dall’indistinto generico è riuscita a conquistare una più concreta personalità, esercitando una funzione direttiva sul vecchio complesso da cui si è distinta e staccata. Lo stesso processo si è ripetuto nel mondo cattolico dopo la formazione del Partito Popolare, «distinzione» democratica che i destri sono riusciti a subordinare ai propri programmi. Nell’un caso e nell’altro i piccoli borghesi, pur essendo la maggioranza tra gli intellettuali dirigenti, sono stati soverchiati dagli elementi della classe fondamentale: nel campo laico gli industriali del «Corriere», nel campo cattolico la borghesia agraria unita ai grandi proprietari soverchiano i professionisti della politica del «Secolo» e del Partito Popolare, che pure rappresentano le grandi masse dei due campi, i semiproletari e piccoli borghesi della città e della campagna.
Q24 §3 Riviste tipiche. All’ingrosso si possono stabilire tre tipi fondamentali di riviste, caratterizzate dal modo con cui sono compilate, dal tipo di lettori cui intendono rivolgersi, dai fini educativi che vogliono raggiungere. Il primo tipo può essere offerto dalla combinazione degli elementi direttivi che si riscontrano in modo specializzato nella «Critica» di B. Croce, nella «Politica» di F. Coppola e nella «Nuova Rivista Storica» di C. Barbagallo. Il secondo tipo «critico‑storico‑bibliografico» dalla combinazione degli elementi che caratterizzavano i fascicoli meglio riusciti del «Leonardo» di L. Russo, l’«Unità» di Rerum Scriptor e la «Voce» di Prezzolini. Il terzo tipo dalla combinazione di alcuni elementi del secondo tipo e il tipo di settimanale inglese come il «Manchester Guardian Weekly», o il «Times Weekly».
Ognuno di questi tipi dovrebbe essere caratterizzato da un indirizzo intellettuale molto unitario e non antologico, cioè dovrebbe avere una redazione omogenea e disciplinata; quindi pochi collaboratori «principali» dovrebbero scrivere il corpo essenziale di ogni fascicolo. L’indirizzo redazionale dovrebbe essere fortemente organizzato in modo da produrre un lavoro omogeneo intellettualmente, pur nella necessaria varietà dello stile e delle personalità letterarie: la redazione dovrebbe avere uno statuto scritto che, per ciò che può servire, impedisca le scorribande, i conflitti, le contraddizioni (per esempio, il contenuto di ogni fascicolo dovrebbe essere approvato dalla maggioranza redazionale prima della pubblicazione).
Un organismo unitario di cultura che offrisse ai diversi strati del pubblico i tre tipi suaccennati di riviste (e d’altronde tra i tre tipi dovrebbe circolare uno spirito comune) coadiuvate da collezioni librarie corrispondenti, darebbe soddisfazione alle esigenze di una certa massa di pubblico che è più attiva intellettualmente, ma solo allo stato potenziale, che più importa elaborare, far pensare concretamente, trasformare, omogeneizzare, secondo un processo di sviluppo organico che conduca dal semplice senso comune al pensiero coerente e sistematico.
Tipo critico‑storico‑bibliografico: esame analitico di opere, fatto dal punto di vista dei lettori della rivista che non possono, generalmente, leggere le opere stesse. Uno studioso che esamina un fenomeno storico determinato, per costruire un saggio sintetico, deve compiere tutta una serie di ricerche e operazioni intellettuali preliminari, che solo in piccola parte risultano utilizzate. Questo lavorio può essere invece utilizzabile per questo tipo medio di rivista, dedicato a un lettore che ha bisogno, per svilupparsi intellettualmente, di aver dinanzi, oltre al saggio sintetico, tutta l’attività analitica nel suo complesso che ha condotto a quel tale risultato. Il lettore comune non ha e non può avere un abito «scientifico», che solo si acquista col lavoro specializzato: occorre perciò aiutarlo a procurarsene almeno il «senso» con una attività critica opportuna. Non basta dargli dei concetti già elaborati e fissati nell’espressione «definitiva»; la loro concretezza, che è nel processo che ha condotto a quella affermazione, gli sfugge; occorre perciò offrirgli tutta la serie dei ragionamenti e dei nessi intermedi, ben individualizzati e non solo per accenni. Per es.: un movimento storico complesso si scompone nel tempo e nello spazio e inoltre può scomporsi in piani diversi: così l’Azione Cattolica, pur avendo sempre avuto una direttiva unica e centralizzata, mostra grandi differenze (e anche contrasti) di atteggiamenti regionali nei diversi tempi e a seconda dei problemi speciali (per es. la quistione agraria, l’indirizzo sindacale, ecc.).
Nelle riviste di questo tipo sono indispensabili o utili alcune rubriche: 1) un dizionario enciclopedico politico- scientifico‑filosofico, in questo senso: in ogni fascicolo sono da pubblicarsi una (o più) piccola monografia di carattere enciclopedico su concetti politici, filosofici, scientifici che ricorrono spesso nei giornali e nelle riviste e che il lettore medio difficilmente comprende o addirittura travisa. In realtà ogni corrente culturale crea un suo linguaggio, cioè partecipa allo sviluppo generale di una determinata lingua nazionale, introducendo termini nuovi, arricchendo di contenuto nuovo termini già in uso, creando metafore, servendosi di nomi storici per facilitare la comprensione e il giudizio su determinate situazioni attuali ecc. ecc. Le trattazioni dovrebbero essere «pratiche», cioè riallacciarsi a esigenze realmente sentite, ed essere, per la forma dell’esposizione, adeguate alla media dei lettori. I compilatori dovrebbero essere possibilmente informati degli errori più diffusi e risalire alle fonti stesse degli errori, cioè alle pubblicazioni di paccotiglia scientifica, tipo «Biblioteca popolare Sonzogno» o dizionari enciclopedici (Melzi, Premoli, Bonacci, ecc.) o enciclopedie popolari più diffuse (quella Sonzogno, ecc.). Queste trattazioni non dovrebbero presentarsi in forma organica (per es., in un ordine alfabetico o di raggruppamenti per materia), né secondo un’economia prefissata di spazio, come se già fosse in vista un’opera complessiva, ma invece dovrebbero essere messe in rapporto immediato con gli argomenti svolti dalla stessa rivista o da quelle collegate di tipo superiore o più elementare: l’ampiezza della trattazione dovrebbe essere fissata volta a volta non dall’importanza intrinseca dell’argomento ma dall’interesse immediato giornalistico (tutto ciò sia detto in generale e col solito grano di sale): insomma la rubrica non deve presentarsi come un libro pubblicato a puntate, ma come, ogni volta, trattazione di argomenti interessanti per se stessi, da cui potrà scaturire un libro, ma non necessariamente.
2) Legata alla precedente è la rubrica delle biografie, da intendersi in due sensi: sia in quanto tutta la vita di un uomo può interessare la cultura generale di un certo strato sociale, sia in quanto un nome storico può entrare in un dizionario enciclopedico per un determinato concetto o evento suggestivo.
Così, per esempio, può darsi che si debba parlare di lord Carson, per accennare al fatto che la crisi del regime parlamentare esisteva già prima della guerra mondiale e proprio in Inghilterra, nel paese, cioè, dove questo regime pareva più efficiente e sostanziale; – ciò non vorrà dire che si debba fare tutta la biografia di lord Carson. A una persona di media cultura interessano due soli dati biografici: a) lord Carson nel 1914, alla vigilia della guerra, arruolò nell’Ulster un corpo armato numerosissimo per opporsi con l’insurrezione a che fosse applicata la legge dell’Home Rule irlandese, approvata dal Parlamento che, secondo «il modo di dire» inglese, «può far tutto eccetto che un uomo diventi donna»; b) lord Carson non solo non fu punito per «alto tradimento», ma divenne ministro poco dopo, allo scoppio della guerra. (Può essere utile che le biografie complete siano presentate in rubrica separata).
3) Altra rubrica può essere quella delle autobiografie politico‑intellettuali. Se ben costruite, con sincerità e semplicità, esse possono essere del massimo interesse giornalistico e di grande efficacia formativa. Come uno sia riuscito a districarsi da un certo ambiente provinciale o corporativo, attraverso quali impulsi esterni e quali lotte interiori, per raggiungere una personalità superiore storicamente, può suggerire, in forma vivente, un indirizzo intellettuale e morale, oltre che essere un documento dello sviluppo culturale in certe epoche.
4) Una rubrica fondamentale può essere costituita dall’esame critico‑storico‑bibliografico delle situazioni regionali (intendendo per regione un organismo geoeconomico differenziato). Molti vorrebbero conoscere e studiare le situazioni locali, che interessano sempre molto, ma non sanno come fare, da dove incominciare: non conoscono il materiale bibliografico, non sanno fare ricerche nelle biblioteche ecc. Si tratterebbe dunque di dare l’ordito generale di un problema concreto (o di un tema scientifico), indicando i libri che l’hanno trattato, gli articoli delle riviste specializzate, oltre che il materiale ancora grezzo (statistiche, ecc.), in forma di rassegne bibliografiche, con speciale diffusione per le pubblicazioni poco comuni o in lingue straniere. Questo lavoro, oltre che per le regioni, può essere fatto, da diversi punti di vista, per problemi generali, di cultura ecc.
5) Uno spoglio sistematico di giornali e riviste per la parte che interessa le rubriche fondamentali: sola citazione degli autori, dei titoli, con brevi cenni sulle tendenze: questa rubrica bibliografica dovrebbe essere compilata per ogni fascicolo, e per alcuni argomenti dovrebbe essere anche retrospettiva.
6) Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico‑informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per lui conoscerne il contenuto e le conclusioni. Un tipo teorico‑critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le obbiezioni che si possono muovere, si pone l’accento sulle parti più interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata ecc. Questo secondo tipo di recensione è più adatto per le riviste di grado superiore.
7) Uno spoglio critico bibliografico, ordinato per argomenti o gruppi di quistioni, della letteratura riguardante gli autori e le quistioni fondamentali per la concezione del mondo che è alla base delle riviste pubblicate: per gli autori italiani e per le traduzioni in italiano degli autori stranieri. Questo spoglio dovrebbe essere molto minuzioso e circostanziato, poiché occorre tener presente che attraverso questo lavoro e questa elaborazione critica sistematica si può solo raggiungere la fonte autentica di tutta una serie di concetti errati che circolano senza controllo e censura. Occorre tener presente che in ogni regione italiana, data la ricchissima varietà di tradizioni locali, esistono gruppi e gruppetti caratterizzati da motivi ideologici e psicologici particolari: «ogni paese ha o ha avuto il suo santo locale, quindi il suo culto e la sua cappella».
La elaborazione nazionale unitaria di una coscienza collettiva omogenea domanda condizioni e iniziative molteplici. La diffusione da un centro omogeneo di un modo di pensare e di operare omogeneo è la condizione principale, ma non deve e non può essere la sola. Un errore molto diffuso consiste nel pensare che ogni strato sociale elabori la sua coscienza e la sua cultura allo stesso modo, con gli stessi metodi, cioè i metodi degli intellettuali di professione. L’intellettuale è un «professionista» (skilled), che conosce il funzionamento di proprie «macchine» specializzate; ha un suo «tirocinio» e un suo «sistema Taylor». È puerile e illusorio attribuire a tutti gli uomini questa capacità acquisita e non innata, così come sarebbe puerile credere che ogni manovale può fare il macchinista ferroviario. È puerile pensare che un «concetto chiaro», opportunamente diffuso, si inserisca nelle diverse coscienze con gli stessi effetti «organizzatori» di chiarezza diffusa: è questo un errore «illuministico». La capacità dell’intellettuale di professione di combinare abilmente l’induzione e la deduzione, di generalizzare senza cadere nel vuoto formalismo, di trasportare da una sfera a un’altra di giudizio certi criteri di discriminazione, adattandoli alle nuove condizioni, ecc., è una «specialità», una «qualifica», non è un dato del volgare senso comune. Ecco dunque che non basta la premessa della «diffusione organica da un centro omogeneo di un modo di pensare e operare omogeneo». Lo stesso raggio luminoso passando per prismi diversi dà rifrazioni di luce diversa: se si vuole la stessa rifrazione occorre tutta una serie di rettificazioni dei singoli prismi.
La «ripetizione» paziente e sistematica è un principio metodico fondamentale: ma la ripetizione non meccanica, «ossessionante», materiale; ma l’adattamento di ogni concetto alle diverse peculiarità e tradizioni culturali, il presentarlo e ripresentarlo in tutti i suoi aspetti positivi e nelle sue negazioni tradizionali, organando sempre ogni aspetto parziale nella totalità. Trovare la reale identità sotto l’apparente differenziazione e contraddizione, e trovare la sostanziale diversità sotto l’apparente identità è la più delicata, incompresa eppure essenziale dote del critico delle idee e dello storico dello sviluppo storico. Il lavoro educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l’elaborazione di una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base storica che contenga le premesse concrete per tale elaborazione, non può limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principii «chiari» di metodo: questa sarebbe pura azione da «filosofi» del Settecento. Il lavoro necessario è complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e l’induzione combinate, la logica formale e la dialettica, l’identificazione e la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non in astratto, ma in concreto, sulla base del reale e dell’esperienza effettiva. Ma come sapere quali siano gli errori più diffusi e radicati? Evidentemente è impossibile una «statistica» dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, con tutte le combinazioni che ne risultano per gruppi e gruppetti, che dia un quadro organico e sistematico della situazione culturale effettiva e dei modi in cui si presenta realmente il «senso comune»; non rimane altro che la revisione sistematica della letteratura più diffusa e più accetta al popolo, combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche del passato, ognuna delle quali «può» aver lasciato un sedimento, variamente combinandosi con quelle precedenti e susseguenti.
In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce un criterio più generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze, nelle opinioni, non avvengono per «esplosioni» rapide, simultanee e generalizzate, avvengono invece quasi sempre per «combinazioni successive», secondo «formule» disparatissime e incontrollabili «d’autorità». L’illusione «esplosiva» nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei metodi di trazione, dalla diligenza a motore animale ai moderni espressi elettrici, ma si è passati attraverso una serie di combinazioni intermedie, che in parte sussistono ancora (come la trazione animale su rotaie, ecc. ecc.) e come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti sia utilizzato ancora per molti anni in Cina e vi rappresenti un progresso tecnico, così nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano variamente e ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia. Nella sfera della cultura, anzi, le «esplosioni» sono ancora meno frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica, in cui una innovazione si diffonde, almeno nel piano più elevato, con relativa rapidità e simultaneità. Si confonde l’«esplosione» di passioni politiche accumulatesi in un periodo di trasformazioni tecniche, alle quali non corrispondono forme nuove di una adeguata organizzazione giuridica, ma immediatamente un certo grado di coercizioni dirette e indirette, con le trasformazioni culturali, che sono lente e graduali, perché se la passione è impulsiva, la cultura è prodotto di una elaborazione complessa. (L’accenno al fatto che talvolta ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia può essere utilmente svolto).
Q24 §4 Una rivista tipica è stata l’«Osservatore» del Gozzi, cioè il tipo di rivista moraleggiante del Settecento (che raggiunse la perfezione in Inghilterra, dove era sorta, con lo «Spectator» dell’Addison) che ebbe un certo significato storico‑culturale per diffondere la nuova concezione della vita, servendo di anello di passaggio, per il lettore medio, tra la religione e la civiltà moderna. Oggi il tipo, degenerato, si conserva specialmente nel campo cattolico, mentre nel campo della civiltà moderna, si è trasformato, incorporandosi nelle riviste umoristiche, che, a loro modo, vorrebbero essere una critica «costruttiva» del costume. Le pubblicazioni tipo «Fantasio», «Charivari», ecc., che non hanno corrispondenti in Italia (qualcosa del genere erano il primitivo «Asino» di Podrecca e il «Seme», scritto per i contadini). Per alcuni aspetti sono una derivazione della rivista moraleggiante settecentesca alcune rubriche della cronaca cittadina e della cronaca giudiziaria dei quotidiani e i così detti «piccoli elzeviri» o corsivi.
La «Frusta letteraria» del Baretti è una varietà del tipo: rivista di bibliografia universale ed enciclopedica, critica del contenuto con tendenze moralizzatrici (critica dei costumi, dei modi di vedere, dei punti di vista, prendendo lo spunto non dalla vita e dalla cronaca, ma dai libri). «Lacerba» di Papini, per la parte non artistica, rientrò in questo tipo in modo originale e avvincente per alcune qualità, ma la tendenza «satanistica» (Gesù peccatore, Viva il maiale, Contro la famiglia, ecc., di Papini; il Giornale di bordo di Soffici; gli articoli di Italo Tavolato: Elogio della prostituzione, ecc.) era sforzata e l’originalità troppo spesso era artificio.
Il tipo generale si può dire appartenga alla sfera del «senso comune» o «buon senso», perché il suo fine è di modificare l’opinione media di una certa società, criticando, suggerendo, sbeffeggiando, correggendo, svecchiando, e, in definitiva, introducendo «nuovi luoghi comuni». Se ben scritte, con brio, con un certo senso di distacco (in modo da non assumere toni da predicatore), ma tuttavia con interesse cordiale per l’opinione media, le riviste di questo tipo possono avere grande diffusione ed esercitare un influsso profondo. Non devono avere nessuna «mutria», né scientifica né moralisteggiante, non devono essere «filistee» e accademiche, né apparire fanatiche o soverchiamente partigiane: debbono porsi nel campo stesso del «senso comune», distaccandosene quel tanto che permette il sorriso canzonatorio, ma non di disprezzo o di altezzosa superiorità.
«La Pietra» e la «Compagnia della Pietra». Motto dantesco dalle rime della Pietra: «Così nel mio parlar voglio esser aspro».
Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» e il suo «buon senso», che sono in fondo la concezione della vita e dell’uomo più diffusa. Ogni corrente filosofica lascia una sedimentazione di «senso comune»: è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel costume. Il «senso comune» è il folclore della filosofia e sta sempre di mezzo tra il folclore vero e proprio (cioè come è comunemente inteso) e la filosofia, la scienza, l’economia degli scienziati. Il senso comune crea il futuro folclore, cioè una fase relativamente irrigidita delle conoscenze popolari di un certo tempo e luogo.
Q24 §5 Annuari e almanacchi. Il tipo di rivista «Politica» ‑ «Critica» esige immediatamente un corpo di redattori specializzati, in grado di fornire, con una certa periodicità, un materiale scientificamente elaborato e selezionato; l’esistenza di questo corpo di redattori, che abbiano raggiunto tra loro un certo grado di omogeneità culturale, è cosa tutt’altro che facile, e rappresenta un punto d’arrivo nello svolgimento di un movimento culturale. Questo tipo di rivista può essere sostituito (o anticipato) con la pubblicazione di un «Annuario». Questi «Annuari» non dovrebbero avere niente di simile ad un comune «Almanacco» popolare (la cui compilazione è legata qualitativamente al quotidiano, cioè è predisposta tenendo di vista il lettore medio del quotidiano); non deve neanche essere una antologia occasionale di scritti troppo lunghi per essere accolti in altro tipo di rivista; dovrebbe invece essere preparato organicamente, secondo un piano generale, in modo da essere come il prospetto di un determinato programma di rivista. Potrebbe essere dedicato a un solo argomento oppure essere diviso in sezioni e trattare una serie organica di quistioni fondamentali (la costituzione dello Stato, la politica internazionale, la quistione agraria, ecc.). Ogni Annuario dovrebbe stare a sé (non dovrebbe avere scritti in continuazione) ed essere fornito di bibliografie, di indici analitici, ecc.
Studiare i diversi tipi di «Almanacchi» popolari (che sono, se ben fatti, delle piccole Enciclopedie dell’attualità).
Q24 §6 Per una esposizione generale dei tipi principali di riviste è da ricordare l’attività giornalistica di Carlo Cattaneo. L’«Archivio Triennale» e il «Politecnico» sono da studiare con molta attenzione (accanto al «Politecnico» la rivista «Scientia» fondata dal Rignano).
Q24 §7 Saggi originali e traduzioni. La quistione si pone specialmente per le riviste di tipo medio ed elementare, che dovrebbero anch’esse essere composte prevalentemente di scritti originali. Occorre reagire contro l’abitudine tradizionale di riempire le riviste con traduzioni, anche se di scritti dovuti a persone «autorevoli». Tuttavia la collaborazione di scrittori stranieri non può essere abolita: essa ha la sua importanza culturale, di reazione contro il provincialismo e la meschinità. Diverse soluzioni: 1) ottenere una collaborazione originale; 2) riassumere i principali scritti della stampa internazionale, compilando una rubrica come quella dei Marginalia del «Marzocco»; 3) compilare dei supplementi periodici di sole traduzioni, con titolo parzialmente indipendente, con numerazione di pagine propria, che contenga una scelta organica, critico‑informativa, delle pubblicazioni teoriche straniere. (È da vedere il tipo «Minerva» popolare, e il tipo «Rassegna della Stampa Estera» pubblicata dal Ministero degli Esteri).
Q24 §8 Rubriche scientifiche. Il tipo italiano del giornale quotidiano è determinato dall’insieme delle condizioni organizzative della vita culturale nel paese: mancanza di una vasta letteratura di divulgazione, sia attraverso il libro che la rivista. Il lettore del giornale vuole perciò trovare nel suo foglio un riflesso di tutti gli aspetti della complessa vita sociale di una nazione moderna. È da rilevare il fatto che il giornale italiano, relativamente meglio fatto e più serio che in altri paesi, abbia nel paese trascurato l’informazione scientifica, mentre esisteva un corpo notevole di giornalisti specializzati per la letteratura economica, letteraria ed artistica. Anche nelle riviste più importanti (come la «Nuova Antologia» e la «Rivista d’Italia») la parte dedicata alle scienze era quasi nulla (oggi le condizioni sono mutate da questo punto di vista e il «Corriere della Sera» ha una serie di collaboratori, specializzati nelle quistioni scientifiche, molto notevole). Sono sempre esistite riviste scientifiche di specialisti, ma mancavano le riviste di divulgazione (è da vedere l’«Arduo» che usciva a Bologna diretto da S. Timpanaro; molto diffusa la «Scienza per Tutti» della Casa Sonzogno, ma per un giudizio di essa basta ricordare che fu diretta per molti anni da… Massimo Rocca).
L’informazione scientifica dovrebbe essere integrante di qualsiasi giornale italiano, sia come notiziario scientifico-tecnologico, sia come esposizione critica delle ipotesi e opinioni scientifiche più importanti (la parte igienico‑sanitaria dovrebbe costituire una rubrica a sé). Un giornale popolare, più degli altri, dovrebbe avere questa sezione scientifica, per controllare e dirigere la cultura dei suoi lettori, che spesso è «stregonesca» o fantastica e per «sprovincializzare» le nozioni correnti.
Difficoltà di avere specialisti che sappiano scrivere popolarmente: si potrebbe fare lo spoglio sistematico delle riviste generali e speciali di cultura professionale, degli atti delle Accademie, delle pubblicazioni straniere e compilare estratti e riassunti in appendici speciali, scegliendo accuratamente e con intelligenza delle esigenze culturali del popolo, gli argomenti e il materiale.
Q24 §9 Scuole di giornalismo. Nella Nuova Antologia del 1° luglio 1928 è pubblicato, con questo titolo, un articolo di Ermanno Amicucci, che forse in seguito è stato pubblicato in volume con altri. L’articolo è interessante per le informazioni e gli spunti che offre. È da rilevare tuttavia che in Italia la quistione è molto più complessa da risolvere di quanto non paia leggendo questo articolo ed è da credere che i risultati delle iniziative scolastiche non possano essere molto grandi (almeno per ciò che riguarda il giornalismo tecnicamente inteso; le scuole di giornalismo saranno scuole di propaganda politica generale). Il principio, però, che il giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé, casualmente, attraverso la «praticaccia», è vitale e si andrà sempre più imponendo, a mano a mano che il giornalismo, anche in Italia, diventerà un’industria più complessa e un organismo civile più responsabile. La quistione, in Italia, trova i suoi limiti nel fatto che non esistono grandi concentrazioni giornalistiche, per il decentramento della vita culturale nazionale, che i giornali sono molto pochi e la massa dei lettori è scarsa. Il personale giornalistico è molto limitato e quindi si alimenta attraverso le sue stesse gradazioni d’importanza: i giornali meno importanti (e i settimanali) servono da scuola per i giornali più importanti e reciprocamente. Un redattore di secondo ordine del «Corriere» diventa direttore o redattore capo di un giornale di provincia e un redattore rivelatosi di primo ordine in un giornale di provincia o in un settimanale, viene assorbito da un grande giornale ecc. Non esistono in Italia centri come Parigi, Londra, Berlino, ecc., che contano migliaia di giornalisti, costituenti una vera categoria professionale diffusa, economicamente importante; inoltre le retribuzioni in Italia, come media, sono molto basse. In alcuni paesi, come quelli tedeschi, il numero dei giornali che si pubblicano in tutto il paese è imponente, e alla concentrazione di Berlino corrisponde una vasta stratificazione in provincia.
Quistione dei corrispondenti locali, che raramente (solo per le grandi città e in generale per quelle dove si pubblicano settimanali importanti) possono essere giornalisti di professione.
Per certi tipi di giornale il problema della scuola professionale deve essere risolto nell’ambito della stessa redazione, trasformando o integrando le riunioni periodiche redazionali in scuole organiche di giornalismo, ad assistere alle cui lezioni dovrebbero essere invitati anche elementi estranei alla redazione in senso stretto: giovani e studenti, fino ad assumere il carattere di vere scuole politico‑giornalistiche, con lezioni di argomenti generali (di storia, di economia, di diritto costituzionale, ecc.) affidate anche a estranei competenti e che sappiano investirsi dei bisogni del giornale.
Si dovrebbe partire dal principio che ogni redattore o reporter dovrebbe essere messo in grado di compilare e dirigere tutte le parti del giornale, così come, subito, ogni redattore dovrebbe acquistare le qualità di reporter, cioè dare tutta la sua attività al giornale, ecc.
A proposito del numero dei giornalisti italiani, l’«Italia Letteraria» del 24 agosto 1930 riferisce i dati di un censimento eseguito dalla Segreteria del Sindacato Nazionale dei giornalisti: al 30 giugno erano inscritti 1960 giornalisti dei quali 800 affiliati al Partito Fascista, così ripartiti: Sindacato di Bari, 30 e 26, Bologna 108 e 40, Firenze 108 e 43, Genova 113 e 39, Milano 348 e 143, Napoli 106 e 45, Palermo 50 e 17, Roma 716 e 259, Torino 144 e 59, Trieste 90 e 62, Venezia 147 e 59.